Certamente coloro che sono presso il tuo Signore non disdegnano di adorarLo: Lo lodano e si prosternano davanti a Lui 1 . 2 Spesso viene tradotta con: «I lembi» o «Il limbo» perché «al-A‘ràf» evoca l’idea di un bordo (di vestito) o di frange. L’esegesi classica (Tabari VIII, 189-afferma trattarsi della muraglia che divide l’Inferno dal Paradiso. Altri esegeti dicono che sia il luogo in cui i credenti le cui opere di bene sono pari a quelle negative, attendono fiduciosi che Allah decida la loro sorte. 3 Vedi Appendice 4 «su di te»: (o Muhammad). 5 Nel Giorno del Giudizio verranno interrogati i popoli che ricevettero le rivelazioni e i messaggeri che le recarono da parte di Allah. 6 Iblìs si arroga la facoltà di stabilire una scala di valori tra le creature, una scala arbitraria e pertanto scorretta che mette il fuoco in una posizione di preminenza rispetto alla creta. Solo il Creatore possiede la facoltà di stabilire il valore delle creature e non certo le creature stesse. 7 «nemici gli uni degli altri»: Adamo ed Èva contro Satana, destinati a combattere per il predominio. Questa lotta che oppone maschi e femmine e dèmoni è la realtà quotidiana di tutti i tempi e di tutti gli uomini, «eccetto quelli – come recita la sura chi – che credono e compiono il bene…». 8 «facemmo scendere»: con questo verbo, utilizzato solitamente per indicare l’azione della Rivelazione ai Profeti, il Corano intende suggerire l’immissione dall’esterno di qualcosa, intesa come un dono di Allah per gli uomini. Lo stesso verbo (vedi lvii, viene riferito al ferro, la cui «discesa» lo caratterizza come un elemento estraneo alla terra. 9 Ricollegandosi alla percezione della nudità originaria, che da naturale è diventata vergogna nel momento stesso in cui la disobbedienza ha fatto perdere all’uomo la sua primitiva innocenza, il Corano stigmatizza il comportamento dei membri di alcune tribù arabe che erano soliti circumambulare intorno alla Ka‘ba completamente nudi. Un giorno l’Inviato di Allah rimproverò aspramente un gruppo di pellegrini yemeniti che stavano appunto compiendo il «tawàf» in quelle condizioni, e quelli risposero che quella era la tradizione che avevano ricevuto dai loro padri e asserirono che si trattava addirittura di un precetto divino (Tabarî VIII, 154). Ha sollevato molte questioni il fatto che il precedente vers. parli di un vestito che è stato strappato. I tradizionalisti hanno fornito molte e suggestive interpretazioni a riguardo, ma in definitiva la spiegazione sta nel vers. quando recita: «l’abito del timor di Allah è il migliore». 10 Il Corano insiste sul fatto che il rito deve essere compiuto in modo formalmente corretto e che di questa correttezza fa parte l’abbigliamento che dovrebbe essere particolarmente curato ogniqualvolta ci si reca in moschea. 11 Quegli stessi pellegrini che assolvevano il rito nudi si astenevano dalla carne e dal grasso animale. 12 Tutte le comunità umane sono imparentate tra loro, in particolare sono strettamente affratellati i due principali gruppi che saranno destinati all’Inferno: i corruttori e i corrotti. Del primo gruppo fanno parte i notabili delle comunità: traviarono i loro popoli e ne pagheranno le conseguenze; nel secondo ci saranno coloro che si lasciarono traviare per iniquità o indifferenza. 13 «ma voi non sapete [quello che vi attende]». 14 L’accesso al Paradiso dipenderà dalla volontà di Allah (Gloria a Lui l’Altissimo) e dalle opere dell’uomo. Il fatto che queste opere saranno pesate e confrontate, presuppone che la santità non è un requisito indispensabile per godere della misericordia del Creatore. L’uomo si avvicinerà al Giardino portando nel suo cuore ancora molto della sua vita terrena e, particolarmente, il rancore per coloro che gli hanno fatto del male. Questo tipo di sentimento non ha più ragione di essere in Paradiso e quindi viene estirpato dai loro petti. 15 Vedi nota al titolo della sura. 16 «in sei giorni»: il termine «yaum» («ayyâm» al plurale), non significa strettamente giorno, ma anche epoca, ciclo, periodo ecc. 17 Purificando il concetto di Allah da ogni antropomorfismo, l’IsIàm stabilisce le norme di convenienza spirituale (adab) che l’uomo deve rispettare nel suo rapporto con Allah (gloria a Lui l’Altissimo). Rivolgendosi a Lui non è tollerabile nessuna alterigia, l’uomo è servo di Allah e il suo atteggiamento deve essere umile e rispettoso. 18 II terreno è la metafora della disposizione dell’animo umano. Quando esso è fertile, seppur secco, basta la caduta della pioggia (la benevolenza di Allah) per far spuntare e crescere la ricchezza della vegetazione (la fede e le opere meritorie che si compiono per amore di Allah). Quando, al contrario, la terra è cattiva (l’animo è malevolo, mal disposto al bene e alla sottomissione) la stessa pioggia produce poche piante che menano vita grama e sono povere di frutti. 19 II popolo degli ‘Àd abitava quella vasta zona del tutto desertica che si trova tra l’Hadramaut e l’Oman, che il Corano chiama «al-Ahqàf», le dune (titolo della sura xlvi), e che è oggi nota con il nome arabo di «al-rub‘ af Khâlî» (il quarto vuoto) o anche il «deserto dei deserti». Fisicamente possenti, longevi, ricchi e potenti, gli ‘Àd rifiutarono la predicazione di Hûd (pace su di lui), il profeta che Allah suscitò tra di loro. Furono distrutti da un cataclisma che Allah (gloria a Lui l’Altissimo) inviò contro di loro per castigarli della loro empietà. Il Corano li cita ventiquattro volte, e nella maggior parte dei casi associa alla loro storia quella dei Thamûd e del loro profeta Şâlih (pace su di lui). Questi due popoli e i loro profeti non sono citati nella Bibbia. 20 I Thamùd (vedi sopra nota al vers. 65), vissero in epoca preislamica nella zona settentrionale dell’Arabia. Sulla loro esistenza abbiamo numerose testimonianze storiche (Plinio, Tolomeo) e riscontri archeologici. Furono puniti per la loro miscredenza e annientati. 21 Allah mandò loro il segno di una cammella che avrebbero dovuto rispettare e alla quale avrebbero dovuto cedere una parte dell’acqua, così come fu rivelato dal loro profeta Şâlih (pace su di lui). In un primo tempo fecero finta di accettare la cammella ma poi l’uccisero (vedi vers. 77). 22 «Lot»: nipote di Abramo abitava in Palestina. La tradizione racconta che dopo aver seguito Abramo nelle sue peregrinazioni in Iraq, Siria e Palestina, Lot si stabilì proprio in questa regione, nei pressi di Sodoma, a sud del Mar Morto. Gli abitanti di quella città avevano raggiunto un tale livello di abiezione morale che Allah volle metterli alla prova e poi castigarli. Inviò a Lot due angeli che assunsero la forma di giovani di grande bellezza. Travolti dalla passione omosessuale i sodomiti cercarono di insidiarli. 23 Gli angeli avvertirono Lot dell’imminente distruzione della sua città e gli ordinarono di partire insieme alla sua famiglia. Nessuno di loro avrebbe dovuto attardarsi oltre. La Bibbia (Genesi XIX, afferma che la moglie di Lot si volse a guardare indietro e fu tarsformata in una statua di sale. 24 «una pioggia»: di pietre (vedi anche XI, 82). 25 «Shu’ayb» secondo la tradizione (Tabari VIII, si tratta di un discendente di Abramo. 26 È la posizione di chi afferma che il male e il bene fanno parte della casualità della vita e non hanno nulla a che vedere con il progetto di Allah sul mondo. Miopi nella visione del tutto, distratti dall’impellenza del quotidiano, negligenti nei loro stessi confronti, gli uomini si rifugiano in un fatalismo aprioristico per giustificare i casi e i rovesci della vita terrena. 27 Solo chi è già perduto non sente il timore di Allah. Il senso di orgogliosa sicurezza che manifestano i malvagi è il segno più certo dell’insensibilità della loro anima, indurita e annerita dai loro peccati. 28 Faraone è attonito e furente. Coloro che fungevano da intermediari tra la sua figura di «dio-re» e il popolo lo rinnegano e si prosternano nell’adorazione chiedendo perdono all’Unico (gloria a Lui l’Altissimo). La magia che aveva preso il posto della religione, viene negata dai suoi stessi artefici, la crema dei maghi-sacerdoti di tutto l’Egitto. Il potere di Faraone scricchiola sinistramente e come tutti i despoti in pericolo egli pensa solo alla vendetta e alla repressione. 29 La conversione e il pentimento dei maghi di Faraone è uno degli esempi più fulgidi della coerenza personale e della capacità di prevalere della natura umana quando è la fede a guidare i comportamenti. Il fatto che ciò avvenga nella maniera in cui avviene, nei tempi e modi che ci sono illustrati dal Corano, è il segno che in realtà la condizione personale dei maghi era molto diversa da quella cui si può pensare quando si tratta di giudicare persone che sono dedite alla magia. Ci sembra di poter dar credito a coloro che affermano che la religione di Faraone derivava probabilmente da una rivelazione divina corrotta nei tempi e la cui verità era stata sostituita da culti esoterici e pratiche magiche. Ciononostante, ad eccezione di Faraone, massimo beneficiario di un’aberrazione che lo aveva elevato ad una dimensione «divina», il ricordo della rivelazione originaria e della sua purezza monoteistica era ben vivo nei maghi-sacerdoti ed essi, di fronte alla prova della potenza di Allah non hanno dubbi, la riconoscono pienamente e passano repentinamente dalla miscredenza alla disponibilità al martirio per la causa di Allah. La stessa affermazione del vers. ribadisce appunto il ritorno ad Allah di chi se ne era allontanato e non il riconoscimento da parte di chi non aveva avuto mai notizia. 30 Si tratta dei Figli di Israele, la cui vicenda è intrecciata nell’esposizione coranica a quella degli egiziani. 31 Come già nel vers. i maschi dei discendenti di Israele venivano uccisi e le femmine tenute in schiavitù. 32 II Corano assolve Aronne dall’accusa ignominiosa che gli rivolge la Bibbia (vedi Esodo 1-24), e cioè di essere stato, per debolezza e «mancanza di fede, l’ideatore del vitello d’oro e del culto orgiastico cui si erano abbandonati i figli di Israele. Accusa tanto più assurda considerando il fatto che non solo Aronne non viene punito come quelli che commisero il peccato di idolatria, ma addirittura viene investito, insieme alla sua discendenza, della massima dignità sacerdotale (Esodo 19). Vedi anche nota a II, 33 A proposito di questo episodio e del cataclisma di cui si parla, l’esegesi afferma che gli ebrei insistevano per vedere Allah e settanta di loro che seguirono Mosè, furono uccisi da un terremoto mentre si trovavano sulla montagna. Un’altra versione dell’episodio considera i settanta uomini come i più puri tra il popolo di Israele, scelti da Mosè in quanto i più idonei per chiedere il perdono di Allah per la loro gente. Quando furono sulla montagna pretesero di vedere Allah e furono puniti. Allah ne sa di più. 34 Coloro di cui parla questo versetto e il precedente, sono naturalmente i musulmani, timorati di Allah, fedeli al culto, obbedienti al Messaggero (pace e benedizioni su di lui). Come già espresso in III, (vedi anche la nota), il Corano riafferma la profezia della venuta di Muhammad (pace e benedizioni su di lui), contenuta nella Torâh e nel Vangelo. 35 Vedi II, 58-e la nota. 36 La religione ebraica contempla il divieto assoluto di svolgere una qualsiasi attività lavorativa nel giorno di sabato, anche solo procurarsi il cibo o accendere il fuoco. Nella città in questione, che secondo alcuni commentatori è Eilat, sul golfo di Aqaba, avvenne che nei giorni di sabato i pesci si avvicinavano alla riva rendendo molto facile la pesca, mentre negli altri giorni se ne stavano al largo, in acque profonde rendendo difficile il lavoro degli uomini: una prova da parte di Allah per verificare l’obbedienza ai Suoi comandi (vedi anche II, e la nota). 37 Quando avvenne il fatto citato nella nota precedente, i Figli di Israele che abitavano quella città, si divisero in tre gruppi: un primo gruppo violò il sabato e pescò i pesci, il secondo vi si oppose e avvertì i peccatori che sarebbero incorsi nell’ira di Allah, un terzo gruppo si dichiarò scettico sulla possibilità di riportare i peccatori sulla retta via e si tenne in disparte. 38 Vedi sopra nota al vers. e II, 39 E la conclusione dell’episodio cui si riferiscono i vv. 163-come spiegato nella nota Ai trasgressori del precetto che Allah aveva imposto ai figli d’Israele viene annunciato un castigo che perdurerà fino alla fine dei tempi. Sulla natura di tale castigo i commentatori non sono unanimi. Ibn Abbas dice trattarsi della jizya (la tassa di capitazione dovuta dai non musulmani che vivono sotto l’autorità islamica) e nella comunità di Muhammad (pace e benedizione su di lui) coloro i quali gliela imporranno. Altri propendono per un’interpretazione più generale di rottura del patto stabilito tra Allah e quella comunità di credenti. 40 Questo versetto dimostra inequivocabilmente l’esistenza di un patto con Allah connaturato agli uomini, in forza del quale essi Lo riconoscono come loro Creatore e Signore e verso il quale non potranno avere scuse nel Giorno del Giudizio. Molti ahadìth citati da Tabarì (IX, 111-e da Ibn Kathìr (II, 261-264), ci insegnano che Allah (gloria a Lui l’Altissimo), dopo aver cacciato Adamo dal Paradiso, convocò davanti a Sé tutti gli uomini che sarebbero vissuti fino al Giorno del Giudizio e pretese il loro impegno a non riconoscere altro dio che Lui e non tributare adorazione ad altri che a Lui. In quella stessa circostanza venne fissato il destino di ciascun uomo. 41 Secondo la maggior parte dei commentatori il personaggio in questione era uno dei Figli di Israele. 42 «nel loro compagno»: Muhammad (pace e benedizioni su di lui), che fu accusato da alcuni suoi contemporanei di essere posseduto da un demone. Cfr. Giovanni vii, VIII, in cui Gesù è accusato della stessa cosa. 43 «Non hanno considerato…»: lett. «Non hanno guardato…». 44 Come in molti altri brani, Allah (gloria a Lui l’Altissimo) invita il Profeta (pace e benedizioni su di lui) a ribadire la sua totale umanità, l’assenza, in lui, di qualsivoglia potere o possibilità che non sia strettamente umana, e la sua ignoranza rispetto a quanto è «ghayb» (che abbiamo via via tradotto con non-manifestato, inconoscibile, invisibile, occulto). 45 Dopo il loro primo peccato, Adamo ed Èva si pentirono e non disobbedirono mai più e, pertanto dicono che il versetto si riferisce ai pagani in generale e ai Coreisciti in particolare che chiamavano i loro figli ‘Abdallàt, ‘Abdul ‘Uzza ecc. 46 Quelli che guardano senza vedere sono gli idoli, gli stessi cui si allude nel precedente vers. (Tabarî IX, 152). 47 Altre possibilità di comprensione condurrebbero a tradurre: «Sii accondiscendente, sii indulgente, pratica il perdono». 48 «Lo ricordano»: la vita del musulmano è intesa come Ricordo di Allah (dhikr Allah); specialmente nei momenti difficili questa pratica permette di distinguere chiaramente il bene dal male. La tentazione infatti, è vista come un obnubilamento della corretta visione delle cose. 49 Il Corano ci riferisce dell’atteggiamento ironico e ingiurioso che avevano, nei confronti dell’Inviato di Allah (pace e benedizioni su di lui), i suoi concittadini pagani. 50 Durante la recitazione del Corano, dopo questo versetto è prevista la prosternazione (sajda). Ci sono alcuni punti nel Corano in cui è prevista questa pratica, questo è il primo (vedi in Appendice l’elenco delle prosternazioni).