١٣٥

Di’: «Tutti aspettano, aspettate allora, e ben presto saprete chi sono i compagni della retta via e chi sono i ben guidati». 1 Quando fu rivelata questa sura ‘Umar ibn al-Khattâb, colui che sarebbe diventato uno dei più ardenti musulmani, amico e suocero dell’Inviato di Allah (pace e benedizioni su di lui) e infine secondo califfo con il prestigioso appellativo di «amir al müminin» (principe dei credenti), era un giovane di 25-anni forte e coraggioso ed era uno dei più validi sostenitori di suo zio Abû Jahl nella persecuzione contro i Musulmani. A suo modo di vedere, Muhammad (pace e benedizioni su di lui) stava seminando divisione e discordia tra i Quraysh e un giorno ‘Umar prese la decisione di affrontarlo e ucciderlo, senza curarsi delle conseguenze che il suo gesto gli avrebbe procurato. Cinse la sua spada e si diresse verso la casa dell’Inviato di Allah. Nu‘aym, Ibn Abdallah, uno del suo clan che in segreto era diventato musulmano lo vide e leggendo sul suo volto una spietata determinazione gli chiese dove stesse andando. La risposta di ‘Umar gettò il credente nella più totale costernazione ed egli, non sapendo come trattenerlo, decise di tentare un diversivo che gli avrebbe consentito di guadagnare tempo ed organizzare la difesa del Profeta. «Prima di far questo», gli disse, «occupati della gente di casa tua!» e gli rivelò che sua sorella Fâtimah e il marito Sa‘ìd erano musulmani. ‘Umar accusò il colpo e si diresse immediatamente verso la casa dei suoi congiunti. Giunto nelle vicinanze sentì una voce salmodiante che proveniva dall’interno. Era quella di Khabàb ibnu ’l-‘Arit che stava appunto recitando la sura Tâ-Hâ. Sentendolo arrivare Khabàb si nascose. ‘Umar irruppe nella casa, accusò la sorella e suo marito di essere diventati seguaci di Muhammad e al loro diniego aggredì il cognato percuotendolo duramente e ferendo la sorella che cercava di difenderlo. Infine la donna gli disse in tono di sfida: «Siamo diventati musulmani, puoi fare quello che vuoi». ‘Umar la guardò, vide il sangue colare dalla sua testa e si dispiacque della sua condotta. Chiese di leggere quello che stavano recitando. La sorella gli impose la purificazione completa ed egli vi si sottopose di buon grado poi, cominciato a leggere il foglio su cui era scritta la prima parte della sura esclamò: «Quanta bellezza e nobiltà in queste parole!». Khabàb, che si era nascosto al suo arrivo, uscì dal suo nascondiglio e disse: «‘Umar, spero che Allah ti abbia prescelto per la preghiera che ha fatto ieri all’Inviato di Allah. Ha detto: “Signor mio fa’ di Abû’l Hakam ibn Hishâm (Abû Jahl) o di ‘Umar ibn al-Khattâb un sostenitore dell’IsIàm”». Allah (gloria a Lui l’Altissimo) aveva deciso di conquistare il cuore di ‘Umar: con la stessa determinazione che aveva mosso la sua volontà omicida, egli si recò presso l’Inviato di Allah (pace e benedizioni su di lui) e dichiarò il suo IsIàm. Allah (gloria a Lui l’Altissimo) lo avrebbe reso grandissimo nella fede, e il Suo Inviato disse che se dopo di lui ci fosse stato un altro profeta, quell’uomo sarebbe stato ‘Umar. Alla morte di Abû Bakr, nel assunse il califfato e nel fu martirizzato. 2 Vedi Appendice 3 II miracolo della Rivelazione aveva fatto sì che Muhammad (pace e benedizioni su di lui) e i primi musulmani fossero pervasi da una fede di grandissima intensità e da un amore per l’Altissimo che rischiava di essere nocivo per la loro salute. La tradizione ci riferisce che il Profeta e i suoi compagni rimanevano tutta la notte in preghiera, legandosi con delle corde al soffitto per rimanere in piedi e non crollare per la stanchezza. Il versetto scese per invitare il Messaggero ad un rapporto più sereno ed equilibrato con la missione che Allah (gloria a Lui l’Altissimo) gli aveva affidato. 4 «al’asmâ-’u-1-husnâ», i bellissimi nomi di Allah sono novantanove. Vedi Appendice 5 Secondo l’esegesi Tuwà è il nome di un fiume e di una valle che si trovano nel Sinai. Il nome Tuwà significa «purificata, benedetta». 6 Allah (gloria a Lui l’Altissimo) non chiede per sapere ma per attirare l’attenzione di Mosè. 7 Molte e diverse le tesi interpretative a proposito del significato di questo segno. La Bibbia parla di lebbra ma il Corano è categorico su questo punto e mette in risalto il fatto che Mosè ha una pelle sana. 8 «per mostrarti…»: per prepararti al fatto che ti saranno mostrati altri Nostri segni. 9 La tradizione riferisce che Mosè (pace su di lui) aveva un difetto di pronuncia. 10 Mosè presenta le sue richieste al suo Signore e termina con una frase che ci rivela la sua sottomissione e il suo timor di Allah. 11 Terrorizzato da una profezia, Faraone faceva uccidere tutti i neonati maschi ebrei.Per salvare il suo bambino, ispirata da Allah (gloria a Lui l’Altissimo), la madre di Mosè lo pose in una cesta e lo affidò alle acque del Nilo. Lo sguardo d’amore del Creatore fece sì che la moglie di Faraone lo vedesse e lo amasse (alcuni affermano che alla vista del neonato la donna guarì dalla lebbra). 12 La misericordia di Allah, oltre a salvare Mosè dalla strage dei neonati e dalle acque del fiume, fa sì che possa tornare a sua madre che viene scelta come nutrice. Svezzato, fu portato al palazzo di Faraone ed educato come un principe. Non dimenticò la sua origine e un giorno uccise un egiziano che maltrattava un suo contribulo. Temendo le conseguenze del suo gesto fuggì dall’Egitto. Tra le prove di cui parla il Santo Corano, il duro lavoro che sopportò a Madyan e, forse, la prova cui lo sottopose al-Khidr (vedi XVIII, 65-82). 13 «Forse ricorderà»: il monoteismo che era stato insegnato ai suoi avi da Giuseppe? (vedi più avanti nota al vers. 71). 14 «per chi nega e…»: smentisce i segni di Allah e volge le spalle ai Suoi Messaggeri. 15 Faraone cerca di mettere Mosè in difficoltà. Ci può essere una responsabilità per coloro che non hanno ricevuto l’invito alla retta via? Allah (gloria a Lui l’Altissimo) dice nel Santo Corano: «Ad ogni comunità inviammo un profeta…» (XVI, 36), la tradizione ci dice che sono stati centoventiquattromila i profeti, trecentotredici dei quali latori di una Scrittura. Oltre ciò c’è la misericordai di Allah e la Sua giustizia. 16 È comune nello stile coranico il passaggio dalla terza persona singolare al pluralis maiestatis. 17 II versetto si riferisce a Faraone. 18 Secondo una tradizione si tratta della festa annuale del fiume Nilo. 19 É il conciliabolo dei maghi cui accenna il precedente vesetto. Il fatto che venga utilizzata la seconda persona plurale on significa che qualcuno li sta arringando, é invece una forma tipica dell’espressione coranica(vedi nota a XII,9). 20 Allah parla al cuore di Mosè. 21 II miracolo della conversione dei maghi di Faraone è qualcosa di veramente sensazionale e commovente. Vedi in proposito anche le note a vii, 125- 22 «Vi farò tagliare…»: si tratta di un supplizio che comporta il taglio della mano destra e del piede sinistro. 23 L’ira di Faraone si scatena sui suoi stessi maghi. È il furore di un despota tradito o di un maestro amareggiato dal tradimento dei suoi discepoli? Alcune interpretazioni esoteriche insistono sul fatto che Faraone era depositario di una vera tradizione snaturata e corrotta, degenerata in magia. Non si dimentichi l’influenza che Giuseppe figlio di Giacobbe e la sua famiglia avevano assunto in Egitto. Princìpi di monoteismo erano stati introdotti nel politeismo degli egizi e la concezione del Dio Unico e Supremo si era diffusa tra i depositari della sapienza e della scienza. Si spiega così il fatto che i maghi di Faraone (che sono piuttosto sacerdoti di questa religione alterata dalla magia; vedi anche vers. passino immediatamente dalla loro pratica di artifici al riconoscimento dell’Unicità di Allah (gloria a Lui l’Altissimo) e al conseguente martirio (vedi vii, e la nota). 24 Oltre la sofferenza fisica e morale, il castigo dell’Inferno ha la particolarità che in esso «non si vive e non si muore». La vita intesa come speranza, purificazione, tensione al meglio e la morte come estrema liberazione, ritorno dell’anima al Creatore, sono negate ai dannati, la loro condizione è atroce. 25 La grandiosità dell’Esodo e il miracolo del passaggio del Mar Rosso sintetizzati in un versetto di grande intensità espressiva. 26 In questo versetto sono precisate le condizioni alle quali si può sperare nel perdono di Allah (gloria a Lui l’Altissimo). Innanzitutto il pentimento, che è ritorno ad Allah, contrizione per aver mancato nei Suoi confronti e dolore per il male compiuto; poi è necessaria la fede, senza la quale nessuna opera dell’uomo produrrà i suoi effetti spirituali, in terzo luogo fare il bene, nei propri e negli altrui confronti e riparare il male commesso o riscattarlo con opere meritorie e infine l’intenzione di seguire la retta via, quella indicata da Allah e dal Suo Inviato, che conduce ai beni dell’altra vita e ci allontana dal Fuoco. 27 Allah (gloria a Lui l’Altissimo) non chiede mai per sapere, Egli è Colui che conosce tutte le cose, la sua domanda ha lo scopo di far notare a Mosè l’imprudenza commessa nel lasciare il popolo. 28 Molte e diverse le ipotesi esegetiche sulla natura e le caratteristiche di questo personaggio il cui nome sembra piuttosto indicare più un’origine geografica che un vero nome proprio. Alcuni lo hanno considerato come il capostipite delle genti che in seguito abitarono quella regione nell’altopiano centrale della Palestina che fu appunto chiamata Samaria e che i giudei consideravano ritualmente impuri. La loro dottrina che traeva origine dall’ebraismo era stata contaminata da culti demoniaci di origine assira e dalla magia al punto che, nei templi di Dan e Bethel, i samaritani adoravano Jahvè (questo è il nome che gli Israeliti danno all’Altissimo) rappresentato da un vitello. I samaritani furono accertimi nemici dei giudei i quali non risparmiarono loro persecuzioni pur, e questo getta una luce inquietante sui loro rapporti, non accusandoli mai di idolatria ma solo di eresia. Ci sono notizie della loro presenza nella città di Nablus (attuale Cisgiordania occupata) fino al ma la loro comunità ridotta a non più di persone si stava lentamente estinguendo. Per ciò che riguarda il significato della figura del Sâmirî nel testo coranico, essa è certamente simile a quella di un demone che tenta di attuare una frattura insanabile tra Mosè e il suo popolo. Nel momento più alto di tutto l’Esodo, mentre Mosè ricevuta da Allah la Legge, il popolo si abbandonava a riti pagani e orgiastici. 29 «avete mancato alla promessa…»: quella di non adorare altri che Allah, l’Unico (gloria a Lui l’Altissimo) e non associare a Lui alcunché. 30 E addirittura ingenua e risibile la scusa che i Figli di Israele inventano per negare la responsabilità della fabbricazione e dell’adorazione del Vitello d’oro: «eravamo appesantiti e abbiamo voluto renderci più leggeri per il viaggio». A proposito dell’espressione «dai gioielli di quella gente»: ci è penosa la polemica con la «gente della Scrittura» con la quale, disse il Profeta (pace e benedizioni su di lui), «parlate delle cose che vi uniscono e non di quelle che vi dividono», tuttavia ci sembra irrinunciabile la necessità di far notare la differenza della versione islamica di questo episodio da quella riferita dalla Bibbia, Riferisce la tradizione islamica (Tabarì XVI, che i Figli di Israele scambiarono i loro beni immobili con oggetti di valore facili da trasportare, gioielli ed ornamenti d’oro e d’argento; versione logicamente compiuta, moralmente accettabile e non in contrasto con la vicenda dell’Esodo, che ben più di una migrazione di massa da un luogo ad un altro rappresenta il progetto di ritorno spirituale di un intero popolo al culto del Dio Unico, negletto e dimenticato negli anni trascorsi in Egitto. Nella Bibbia invece è lo stesso Mosè che istiga i suoi alla truffa nei confronti degli egiziani loro amici, chiedendo in prestito oggetti d’oro e d’argento. Vedi Esodo XI, e XII, 35-31 II «gettare» del Samiri, ci sembra che rappresenti molto di più del gesto fisico di prendere qualcosa e buttarlo in un crogiolo. Come già nell’episodio che oppose Mosè ai maghi di Faraone, «gettare» assume un significato del rituale magico religioso che ha sostituito il culto di Allah. Satana, sconfitto dalla professione di fede dei maghi, usa il Samiri per ripristinare il suo blasfemo dominio sul popolo di Israele. 32 Come già in vii, (vedi la nota), il Corano scagiona il profeta Aronne (pace su di lui) dall’accusa biblica (Esodo XXXII, 1-di essere uno dei maggiori responsabili dell’idolatrìa dei Figli di Israele. 33 «cosa ti ha impedito»: di fermarli. 34 «Ho visto quello che non hanno visto»: secondo una tradizione attribuita ad Ali ibn Abî Tàlib (che Allah sia soddisfatto di lui), il Samiri avrebbe visto Gabriele (pace su di lui) che precedeva a cavallo la marcia degli ebrei ed ebbe l’ispirazione diabolica di prendere un pugno di polvere calpestata dagli zoccoli dell’animale per gettarla in seguito su qualcosa che, in tal modo, si sarebbe trasformata in quello che lui avrebbe voluto. 35 «l’ho gettata»: vedi sopra nota al vers. 36 II Samiri viene condannato alFintoccabilità e destinato all’inferno. Una tradizione riferisce che fu colpito da una grave malattia della pelle e non potè più sopportare che lo toccassero. Ad ogni modo ci pare più plausibile la tesi di una intoccabilità causata da un’impurità spirituale. La maledizione di Mosè era ancora operante al tempo di Gesù, che per abrogarla, chiese da bere alla samaritana (Giovanni 7-e raccontò la parabola del «buon samaritano» (Luca 25-37). 37 «gli occhi bluastri»: si tratta del paragone tra la cecità spirituale che conduce gli uomini alla rovina dell’anima e quella fisica che sembra coprire gli occhi di un velo azzurrognolo. 38 Certamente la vita terrena è ben poca cosa di fronte ai tempi biologici dell’universo e all’etemità che appartiene all’Altissimo. Anche la permanenza nella tomba tra la morte terrena e la Resurrezione sembrerà di un solo giorno al credente, cui Allah avrà reso breve l’attesa del Paradiso e sembrerà altrettanto breve all’empio che vedrà giungere con rapidità il Giorno del castigo. 39 Questi tre versetti (105-scesero per rispondere alle provocazioni odiose dei meccani che si prendevano gioco dell’Inviato di Allah (pace e benedizioni su di lui) e delle sue parole. Quando Muhammad disse che nel Giorno del Giudizio tutta la terra sarebbe stata un’unica grande pianura, ironizzarono a proposito della sorte delle montagne che circondano la Mecca. 40 «colui che li avrà chiamati»: l’angelo che secondo la tradizione si chiama Isràfil. 41 Allah conosce la storia personale di ogni creatura e il suo destino ultimo, mentre le creature non riescono neppure a intuire l’immensità del Suo sapere. 42 Riferisce la tradizione che, per paura di dimenticarle, il Profeta (pace e benedizioni su di lui), spesso cercava di recitare le Parole di Allah prima che la Rivelazione fosse conclusa. Il versetto scese per invitarlo alla pazienza. L’invocazione che Allah (gloria a Lui l’Altissimo) propone al Suo Inviato deve essere scolpita nelle nostre menti di credenti perché è attraverso la scienza che Egli ci trae dalle tenebre dell’ignoranza e ci conduce alla luce della conoscenza di Lui. «Signor mio, accresci la mia scienza!» (Rabbi zidnî ‘ilmâ). 43 «Ne mangiarono entrambi»: Adamo ed Eva, che condividono la responsabilità della disobbedienza al comando di Allah. 44 La capacità di pentirsi è un dono di Allah (gloria a Lui l’Altissimo), il suo favore infatti precede il pentimento di Adamo e lo rende degno della Sua guida (cioè della Rivelazione). 45 Nella concezione islamica la vita terrena non è assolutamente un castigo, ma il segno tangibile della «rahma» (della misericordia di Allah) che ci offre la possibilità di riscattarci dalla disobbedienza assolvendo al compito di «Khalîfa fî ’1-ard» (luogotenente di Allah sulla terra); non a caso, nel Santo Corano l’accettazione “del pentimento dell’uomo precede la sua destinazione sulla terra. 46 La peggiore cecità è quella dello spirito: esserne affetto nel Giorno del Giudizio sarà per l’uomo il dolore più grande, essa infatti gli precluderà quella contemplazione del Volto del Signore che rappresenta l’apice assoluto della beatitudine. 47 «nelle cui dimore oggi si aggirano»: anche «le cui dimore oggi calpestano». Le rovine delle antiche civiltà sono spesso indicate come segni della caducità delle realizzazioni umane. 48 Ogni comunità ha il suo destino nei modi e nei tempi prestabiliti da Allah (gloria a Lui l’Altissimo); se non fosse così, la malvagità degli uomini avrebbe già scatenato il castigo del Signore. 49 Vengono ribadite le cinque orazioni quotidiane: «prima del levarsi del sole e prima che tramonti»: salât-ul fajr e salàt-ul ‘asr (adorazione dell’alba e del pomeriggio); «durante la notte»: salât-ul aishà (adorazione della notte), «agli estremi del giorno»: salàt-ul dhohr e salàt-ul maghrib (adorazione del mezzogiorno e adorazione del tramonto). (Vedi Appendice 2.) 50 «così che tu possa essere soddisfatto»: nel senso di «rasserenato dall’adorazione del tuo Signore». O anche: «così che tu possa essere accettato [da Allah]». 51 «ai beni effimeri che abbiamo concesso ad alcuni di loro»: non c’è «baraka» (pienezza di benedizioni) nei beni dei miscredenti. Essi sono per loro preoccupazioni in questa vita e tormento nell’altra (vedi anche IX, e la nota). 52 «la Prova»: il Corano. 53 «… della sua venuta»: la missione di Muhammad (pace e benedizioni su di lui).
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