١٢٨

In verità Allah è con coloro che Lo temono e con coloro che fanno il bene.   1 «la Rivelazione»; «rùhu» viene tradotto normalmente con il termine «spirito» e può riferirsi allo spirito che Allah soffia nell’uomo al momento della creazione (vedi xv, 29), oppure può designare l’Angelo Gabriele: «Rùhu- ’l-quddus» (vedi nella stessa sura vers. e anche, ad es. II, o xcvI, 4), ma ci pare che il contesto di questo versetto spinga verso un significato appunto simile a quello di «wahy»: rivelazione, ispirazione. 2 Grande è l’ingratitudine umana al miracolo della creazione! Signore perdonaci! 3 Un’altra delle metafore agro-pastorali di cui si serve con grande efficacia il Corano, rivolgendosi inizialmente ad un popolo in gran parte nomade e dedito all’allevamento del bestiame. Il fascino dell’immagine che suggerisce è grande anche a chi, come noi, è molto lontano da questi idilliaci momenti esistenziali. 4 «E crea…»: la creazione come fatto incessante dell’attività divina, viene qui riaffermata con forza. Alcuni commentatori hanno letto in questo brano un’allusione alle scoperte della scienza e della tecnica moderna e contemporanea ignote agli arabi del VII secolo d.C. Ci sembra che, relativamente a queste ultime, non si possa parlare di creazione ma piuttosto di applicazione umana di particolari leggi o proprietà già insite nella creazione. Se creazione implica un concetto di «fare dal nulla», la parte finale di questo versetto si deve riferire a qualcos’altro, in mondi e dimensioni diversi di cui abbiamo talvolta l’intuizione ma mai (non ancora) la conoscenza. 5 Nella secolarizzata società contemporanea si è diffusa la pericolosa tendenza di considerare tutte uguali le vie e le ipotesi di realizzazione spirituale, a condizione che s’inseriscano in un quadro etico coerente e rispettoso del pensiero altrui. Questa tendenza, codificata nella teoria filosofica della «unità trascendentale di tutte le religioni» non è accettabile in ambito islamico, in quanto la sottomissione all’Altissimo nella forma sharai- tica rivelata dal Corano e predicata dal Profeta Muhammad (pace e benedizione su di lui), è per i musulmani, il prosieguo e il sigillo delle Rivelazioni precedenti e la Via finale per tutta l’umanità. Questa via è capace, con la misericordia di Allah, di condurre l’uomo alla salvezza nell’altra vita e costruire, su questa terra, una società su basi etiche e solidali in cui anche coloro ai quali non sono stati dati potere e ricchezza, possano vivere decorosamente e dignitosamente. 6 «per gente che ricorda»: il loro Signore e il miracolo del creato. 7 «alla ricerca della Sua Grazia»: in questo contesto si tratta^dei vantaggi materiali della vita terrena. 8 La geologia ha dimostrato che sotto la parte visibile delle montagne ne esiste un’altra profondamente infissa nel terreno, a mo’ di piolo. Per quanto riguarda la funzione delle montagne a proposito della stabilizzazione della crosta terrestre citiamo l’eminente geologo statunitense Frank Pears, attuale presidente della Accademia delle Scienze negli usa. In Earth («La Terra»), un’opera che è un riferimento scientifico per molte università nel mondo, egli scrive a proposito della funzione delle montagne: «Le montagne hanno un ruolo importante nella stabilizzazione della crosta terrestre». La tradizione islamica, dal canto suo, riferisce che nelle prime fasi della creazione la terra era talmente agitata da sussulti e scosse telluriche che gli angeli dissero che mai un essere avrebbe potuto tenersi ritto sopra di essa. Allah (gloria a Lui l’Altissimo) nella Sua Misericordia creò le montagne e le rese stabili. 9 Quelli che saranno interrogati sono i miscredenti tronfi d’orgoglio dei verss. e 10 «tutto il loro carico»: di peccati. 11 «Non avremmo reso interdetto se non ciò che Egli ci ha proibito»: vedi, a proposito degli interdetti relativi agli animali e ai raccolti nell’Arabia preislamica, IV, e V,12 «daremo loro una bella dimora in questa vita»: Allah (gloria a Lui l’Altissimo) rassicura i musulmani che temevano, emigrando a Medina, di non riuscire a trovare una sistemazione adeguata alle loro necessità. Per Sua volontà il cuore dei loro fratelli me- dinesi si aprì alla generosità. In generale questo è accaduto in ogni tempo e accade tutt’oggi a quei musulmani che sono costretti ad emigrare per sfuggire alle persecuzioni dovute alla loro condizione di credenti; Allah è il Generosissimo e non lesina certo i Suoi doni a coloro che soffrono per la Sua causa. 13 «non inviammo che uomini»: come già in altri passi il Corano risponde a coloro che pretendevano che la Rivelazione fosse veicolata direttamente da un angelo per prestarvi fede. 14 «la gente della Scrittura»: gli ebrei e i cristiani. Come abbiamo già visto «adh-dhikr» (il Monito – il Ricordo) ha il significato di Libro, Scrittura, Rivelazione, ed è uno dei nomi del Corano, ma in questo caso indica piuttosto le Rivelazioni precedenti, la Toràh e il Vangelo. 15 «il Monito»: in questo caso il «Monito» è certamente riferito al Santo Corano in quanto Allah (Gloria a Lui l’Altissimo) si rivolge al profeta Muhammad (pace e benedizioni su di lui). 16 Anche nei momenti in cui viene minacciato il castigo più rapido e ineluttabile, Allah lascia aperta la porta della Sua misericordia e della Sua indulgenza verso le Creature. 17 Gli arabi pagani distinguevano due classi di divinità: benefiche (Jibt) e malefiche (Thaghût) e pertanto è probabile che l’espressione: «Non adottate due divinità» sia da interpretare nel senso che l’IsIàm esclude qualsiasi tentazione dualista tendente a ipotizzare l’esistenza di due divinità, una del bene e una del male e che considera i fatti del mondo come il risultato del predominio ora dell’uno ora dell’altro. Questa concezione del mondo che viene chiamata «manichea» (da Mani o Manete, vissuto in Persia nel in secolo a.C.) tende a giustificare l’esistenza del male, ritenendolo qualcosa di estraneo all’uomo e di ineluttabile in quanto derivante da un soprannaturale tutore. La stessa concezione che minimizza la responsabilità personale, tipica delle ideologie e sistemi di pensiero contemporanei, ha condotto ad una reale diminuzione della dignità umana, addebitando alla condizione sociale o alle turbe ambientali la radice profonda della gran parte dei mali del mondo. 18 II versetto si riferisce in generale a tutte le forme di irriconoscenza: Allah governa la meteorologia e gli uomini la riducono a un gioco di correnti e di isobare, Allah provvede alle necessità della vita e gli uomini ne fanno una questione di fortuna, Allah guarisce dalle malattie e gli uomini ne attribuiscono il merito a qualche luminare della medicina, a qualche formula chimico-farmaceutica o al miracolo di qualche santo locale. Per quello che riguarda in particolare il fatto delle «figlie di Allah» i commentatori affermano che sia un’allusione a due tribù arabe, i Khuzâ‘a e i Kinâma, i quali ritenevano che gli angeli fossero appunto «figlie» di Allah. 19 Gli arabi dell’epoca preislamica consideravano una vera disgrazia la nascita di una femmina e arrivavano fino a seppellirla viva per liberarsene (vedi VI, 137-140). Questo versetto e il successivo ben descrivono l’atteggiamento di questi pagani. 20 «ciò che essi detestano»: il riferimento è al vers. 21 Così come la terra arida e come morta risorge a nuova vita grazie all’acqua che Allah fa scendere dal cielo, allo stesso modo il cuore degli uomini inaridito dalla miscredenza riacquista la pienezza della sua vita spirituale grazie alla Rivelazione che Allah fa scendere tramite i Suoi Messaggeri. 22 Oltre al miracolo della incompenetrabilità degli umori all’interno di uno spazio tanto angusto come il ventre di un mammifero, possiamo rilevare un significato più spirituale del versetto: non è necessario vivere in un ambiente puro per essere puri. La dimensione della purezza è interna a chi la vive ed offre una valida difesa contro la contaminazione esterna. 23 La gran parte dei commentatori ritiene che il versetto sia da ricollegarsi alla progressiva proibizione delle bevande (e delle sostanze) inebrianti sviluppata in II, IV, v, (vedi le note relative). In base a questo versetto Abu Hanifa (fondatore della scuola giuridica che da lui prende il nome) stabilì la liceità di un particolare tipo di bevanda alcolica («an-nabì’dh» il vino di datteri), assunta in piccole quantità tale da non provocare l’ebbrezza. 24 Anche gli animali sono oggetto di una loro particolare ispirazione proveniente da Allah (gloria a Lui l’Altissimo), che informa l’istinto, guida del loro comportamento. 25 «negli edifici degli uomini»: abbiamo tradotto in base all’interpretazione di Tabarì (xIv, 139), un’altra ipotesi di comprensione è «in quello che [per voi] costruiscono gli uomini» cioè gli alveari. A questo proposito segnaliamo che secondo alcuni il verbo utilizzato conterrebbe la specificità del «costruire nel legno». 26 «un liquido dai diversi colori»: il miele, notissimo rimedio a molte malattie. Il suo colore e le sue proprietà curative dipendono anche dalle diverse varietà di fiori del cui polline si cibano le api. 27 La Scienza appartiene ad Allah, Egli ne concede una parte agli uomini, ma la loro conoscenza é caduca e, anche prima della morte, la senilità ci mette spesso in condizioni di totale oblio di quella che un tempo avevamo saputo. L’Inviato di Allah (pace e benedizioni su di lui) pronunciava spesso questa invocazione: «O Allah, preservami dai tre mali più grandi,I’avarizia, la senilità e la vigliaccheria». 28 Non si tratta di sancire l’irreversibilità della condizione servile (tutta la legislazione islamica relativa alla schiavitù è finalizzata al suo superamento): la metafora che il versetto utilizza tende a trarre spunto dall’assoluta diversità materiale tra lo schiavo e il suo padrone per ribadire l’assoluta diversità tra Allah Unico e Altissimo e ciò che gli uomini associano a Lui nel culto. Secondo labari (xIv, il versetto è rivolto agli idolatri meccani e dice loro: «Voi che rifiutate di considerare gli schiavi degli uomini come voi, non esitate invece a considerare i vostri dèi simili ad Allah». 29 In questo versetto è contenuta la proibizione di rappresentare Allah (gloria a Lui l’Altissimo), mediante simboli, immagini, statue (Tabari xIv, 147). 30 Nelle due parabole dei verss. e il miscredente è lo schiavo senza potere, il muto buono a nulla; è paragonato al credente ricco e generoso, che invita all’equità e si comporta rettamente. 31 «ciò che riguarda l’Ora»: il fatto più sconvolgente ed esiziale per la concezione materiale della vita dell’umanità, per Allah, (gloria a Lui l’Altissimo), «non sarà altro che un batter d’occhio o meno ancora». 32 «la loro lana, il loro crine e il loro pelo»: i tre termini arabi qui utilizzati: «suf», «wa- bar», «sha‘r», designano rispettivamente il pelo di pecora, di cammello e di capra. 33 «che vi proteggono dalla vostra stessa violenza»: le armature, le cotte di maglia di ferro. 34 Se nonostante la grande abbondanza di favori e di segni (vedi versetti sopra), gli uomini rimarranno miscredenti, sappi o Muhammad, che a te non sarà attribuita nessuna responsabilità. 35 Ogni profeta testimonierà nel Giorno del Giudizio a proposito della comunità cui era stato inviato. Muhammad (pace e benedizioni su di lui) testimonierà invece a favore di tutti coloro che hanno creduto in lui e contro coloro che hanno ricevuto il suo messaggio e Io hanno rifiutato. 36 «Non fate come colei»: secondo l’esegesi classica il brano si riferisce in particolare ad una donna della Mecca, tale Saida al Asadiya, malata di mente che passava la vita a filare e disfare il risultato del suo lavoro. 37 «facendo dei vostri giuramenti mezzi di…»: le tribù arabe erano solite mutare facilmente alleanze a seconda dell’interesse contingente. Il Corano stigmatizza la mala fede che ispirava il loro comportamento e i loro giuramenti. 38 Questo versetto istituisce la norma della recitazione della formula dell’isti‘adha: «A‘ûdhu bi-Llâhi mina ’sh-shaytâni- ’r-Rajîm», che secondo Tabarî significa: «Io cerco protezione solo in Allah, e non in qualche Sua creatura, qualunque essa sia, contro il danno che Satana potrebbe arrecarmi nella mia religione, o contro uno dei suoi tentativi di allontanarmi da una verità che mi avvicina al mio Signore». Ibn ‘Abbâs disse: «Quando Gabriele scese per la prima volta su Muhammad, gli disse: “O Muhammad di’: ‘Cerco rifugio in Allah, l’Audiente, il Sapiente, contro Satana il lapidato’”. Poi gli disse: “Di’: ‘In nome di Allah il Compassionevole, il Misericordioso’”. In seguito gli disse: “Leggi (o recita) in nome del tuo Signore che ha creato…”» (XCVI, 1). 39 L’affermazione di Allah (gloria a Lui l’Altissimo) è inequivocabile: «Satana non può fare alcunché contro coloro che credono e confidano in Allah». Certo il Diavolo esiste e nuoce alle creature, tenta anche le migliori, pronto com’è a sfruttare qualsiasi occasione, ad insinuarsi da qualsiasi varco lasciato sguarnito, in qualsiasi breccia nel muro di difesa spirituale ed etica del credente. Ma alla fine, alla resa dei conti, il credente sostenuto dalla fiducia nel suo Signore, riesce a rialzarsi anche dalle cadute più rovinose e il suo sincero pentimento trova Allah «Ghafûr Rahim» (perdonatore misericordioso) e vanifica le opere di Satana. 40 Nella graduale rivelazione del Corano alcuni versetti sono stati abrogati (mansûkh) per ordine di Allah (gloria a Lui l’Altissimo) e sostituiti con altri (nasîkh). Come è noto il Corano è sceso in ventitré anni in base alle necessità della comunità islamica che si stava formando. In questo contesto Allah (gloria a Lui l’Altissimo) volle che alcuni versetti (per lo più relativi a questioni legali-istituzionali e mai dottrinali) diventassero caduchi e li sostituì con altri. Dopo la conclusione della Rivelazione il testo coranico assunse quelle caratteristiche di immutabilità che costituiscono uno dei suoi miracoli. La questione dell’abrogante e dell’abrogato è stata sfruttata dai detrattori dell’Inviato di Allah (pace e benedizioni su di lui) per accusarlo di falsificazione (vedi anche II, 106). 41 «Lo ha fatto scendere con lo Spirito Puro»: l’angelo Gabriele (pace su di lui) è stato il latore del Corano, il tramite tra Allah (gloria a Lui l’Altissimo) e il Suo Inviato (pace e benedizioni su di lui). Vedi anche nota al vers. della stessa sura. 42 I pagani della Mecca non potevano capacitarsi del fatto che Muhammad (pace e benedizioni su di lui) potesse essere l’autore di tanta grandezza culturale e poetica. La loro miscredenza escludeva a priori la reale provenienza divina del Corano e quindi tendevano ad attribuirlo a qualcuno che stesse dietro le quinte, un ispiratore occulto e possibilmente straniero per accreditare l’estraneità del messaggio rispetto alla città e alla sua cultura. Molti dei primi convertiti, che non godevano di potenti protezioni tribali, furono torturati nel tentativo di ottenere una loro confessione in tal senso. 43 L’esegesi classica fa riferire questo versetto a quei primi musulmani che furono costretti con maltrattamenti e minacce a rinnegare (a parole) la fede, pur mantenendola ben viva nel cuore. La portata generale del versetto si traduce in un’autorizzazione alla «tu- kya» (la dissimulazione) data dalla legge islamica, quando palesare la fede potrebbe essere gravemente lesivo della vita, dell’incolumità personale o della libertà. Pur dicendo questo, nessun credente può dimenticare l’immagine di Bilâl (che Allah sia soddisfatto di lui) allora schiavo, con il petto schiacciato da un macigno che continuava a ripetere: «Allah è Uno, Allah è Uno», splendido esempio di fede e di disponibilità al martirio. (Bilâl fu salvato da Abû Bakr, che lo acquistò per una forte somma e lo liberò.) 44 L’esegesi mette questo versetto in relazione al precedente vers. (vedi la nota) e lo fa riferire a quei musulmani che rimasero alla Mecca dopo l’Egira del Profeta (pace e benedizioni su di lui). 45 La Mecca, che negli anni successivi all’Egira del Profeta (pace e benedizioni su di lui) subì periodi di terribile carestia (vedi anche successivo vers. 113). 46 «che avevano fatto»: plur. riferito agli abitanti della città. 47 «sul quale sia stato invocato…»: al momento della macellazione. A proposito degli interdetti alimentari nell’IsIàm vedi II, v, 3-e le relative note. 48 A proposito dei bizzarri interdetti alimentari degli arabi preislamici vedi v, vI, 138-e le note. 49 Vedi vI, e la nota. 50 La tradizione islamica riferisce che anticamente il vero giorno sacralizzato era il venerdì. In questo giorno infatti Allah (gloria a Lui l’Altissimo) accettò il pentimento di Adamo. Il «shabbat», in ebraico «riposo», fu istituito con una rivelazione data da Allah a Mosè (vedi Esodo xx, 9-in maniera estremamente rigida per punire i Figli di Israele dei loro contrasti a proposito del venerdì. I cristiani sacralizzarono la domenica per differenziarsi dagli ebrei e celebrare la «risurrezione», da loro asserita, del Cristo figlio di Maria (pace su di entrambi). L’IsIàm ripristinò il venerdì attribuendogli solo la sua dimensione spirituale e l’appuntamento della preghiera congregazionale (salat-ul- jumu ‘a), per il resto ogni altra attività lecita è permessa nella giornata di venerdì. 51 Secondo l’esegesi questo versetto scese dopo la battaglia di Uhud in cui lo zio paterno dell’Inviato di Allah Hamza ibn ‘Abdel Muttalib, fu ucciso e orrendamente mutilato. In quell’occasione, travolto dal dolore Muhammad (pace e benedizioni su di lui) giurò che si sarebbe vendicato infliggendo la stessa mutilazione a settanta idolatri. Il versetto scese per dargli la misura accettabile della vendetta. Il Profeta espiò il giuramento irriflesso con elemosine e un digiuno di tre giorni. In seguito non perse occasione di raccomandare ai suoi compagni e a tutti i credenti la moderazione e il perdono.
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